La terapia breve strategica sistemica non supera le 20 sedute. È un intervento focale e breve. Nei sistemi (individuo, coppia, famiglia, organizzazione, ecc…) bloccati, tale forma di intervento, produce i primi sostanziali miglioramenti del problema presentato (se non la totale risoluzione) entro le prime 10 sedute. Difatti, se le tecniche terapeutiche sono ben scelte e applicate, sono in grado di indurre dei cambiamenti già dalle prime sedute del trattamento. Se ciò non dovesse avvenire, il terapeuta strategico-sistemico è solito interrompere il trattamento e indirizzare la persona a un collega dello stesso o di diverso orientamento.
Nelle prime fasi del trattamento le sedute della terapia strategica sistemica possono essere sia a cadenza settimanale che quindicinale, a seconda del tipo di problema presentato e delle esigenze della persona stessa. Una volta ottenuto lo sblocco del disturbo, e quindi il primo sostanziale miglioramento, le sedute vengono ulteriormente distanziate per permettere alla persona di sperimentare le ritrovate risorse e capacità nella propria vita quotidiana senza che venga a crearsi un forte vincolo con la figura del terapeuta. La terapia si conclude infine con 3 controlli (follow-up) condotti a distanza di 3 mesi, 6 mesi e 1 anno dalla fine della terapia per verificare il mantenimento del risultato nel tempo.
I risultati delle ricerche effettuate su numerosissimi casi che si sono sottoposti a terapia breve strategica hanno mostrato non solo un’elevata efficacia dell’intervento valutata alla fine del trattamento, ma anche e soprattutto il mantenersi di tali risultati nel tempo, come emerso chiaramente dai follow-up condotti a distanza di 3 mesi, 6 mesi e 1 anno dalla fine della terapia. Tali incontri hanno infatti evidenziato una minima presenza di ricadute e l’assenza di spostamenti del sintomo anche a distanza di un anno dalla fine della terapia.
La Terapia Breve Strategica è indicata, in primo luogo, per tutti i disturbi psicologici fortemente impedenti, ovvero caratterizzati da una sintomatologia acuta e invalidante, quali i disturbi fobico- ossessivi (ansia, attacchi di panico, fobie, ossessioni, compulsioni, ipocondria), i disordini alimentari (anoressia, bulimia, sindrome da vomito, binge eating) la depressione, i problemi sessuali, le psicosi, dipendenze da sostanze, da gioco, da internet. Oltre che per i disturbi impedenti, l’intervento strategico appare estremamente efficace anche nell’affrontare i più frequenti problemi relazionali (problemi sentimentali o di coppia, difficoltà relazionali con colleghi di lavoro, problemi di relazione genitori-figli) blocchi di performance, problemi scolastici, problemi dell’età evolutiva e tutte le sintomatologie potenzialmente impedenti ma che si trovano ancora nella fase di strutturazione iniziale (ad esempio fobie non ancora generalizzate e disturbi alimentari non del tutto organizzati). A seconda del tipo di problematica presentata, il terapeuta potrà proporre un intervento di tipo psicoterapico (le “canoniche” dieci sedute), oppure optare per un intervento di consulenza strategica breve, particolarmente adatta nell’affrontare i problemi non impedenti per le sue caratteristiche di efficacia e rapidità di risoluzione.
Molto spesso le persone che presentano determinati tipi di problemi, ad esempio disordini alimentari o particolari difficoltà relazionali, rifiutano di rivolgersi ad uno specialista o appaiono estremamente resistenti a qualsiasi tipo di intervento. In questi casi la famiglia, se adeguatamente indirizzata, può svolgere un ruolo fondamentale e determinante nel trattamento del disturbo. In queste situazioni il terapeuta strategico è solito fare un primo incontro con la o le persone che lamentano il problema (sebbene questi non siano i “portatori” del disturbo) e valutare con lei o loro cosa sia possibile fare per intervenire. Il terapeuta strategico sistemico potrà quindi dare indicazioni su come cercare di coinvolgere il “portatore del disturbo” nella terapia, oppure dare indicazioni concrete ai familiari su come comportarsi relativamente alla persona e al disturbo in questione, ricorrendo così ad una forma di terapia indiretta. In seguito a questo intervento può capitare che il “paziente” decida di entrare in terapia in un secondo momento; negli altri casi la terapia procede solo in maniera indiretta.
Nei casi di problemi non particolarmente acuti e pervasivi, il terapeuta strategico sistemico può proporre un intervento di consulenza breve strategica piuttosto che una vera e propria psicoterapia breve articolata nelle canoniche dieci sedute. Difatti, la consulenza breve risulta essere particolarmente funzionale ed efficiente quando si ha a che fare con disturbi definibili come “non impedenti”. Si tratta di tutti quei problemi che, limitando in modo circoscritto le opportunità di un individuo, non ne ostacolano la vita quotidiana. I disturbi non impedenti comprendono diverse categorie: problemi sentimentali o di coppia, difficoltà relazionali con colleghi di lavoro, problemi di relazione genitori-figli, problemi scolastici, blocchi della performance, sintomatologie potenzialmente impedenti ma che si trovano ancora nella fase di strutturazione iniziale. La consulenza breve ha un’efficacia molto alta ed un elevato grado di efficienza (al di sotto delle cinque sedute), con uno sblocco repentino, solitamente tra la prima e la seconda seduta, seguito da qualche seduta di controllo per verificare il mantenimento nel tempo dei risultati ottenuti. Questa tipologia di intervento appare particolarmente indicata per tutti coloro che necessitano di trovare soluzioni rapide ed efficaci a problemi che, pur non essendo impedenti, in un dato momento della propria vita possono apparire difficilmente superabili senza un aiuto esterno.
Accade molto frequentemente che una persona che vive un momento critico non sia in grado di definire con chiarezza il proprio stato di disagio o si senta immersa in uno stato di sofferenza dai contorni non ben delineati. In questi casi, il primo compito di un terapeuta strategico è proprio quello di guidare ed aiutare la persona a definire in modo più preciso la propria situazione e a concordare l’obiettivo di trattamento su cui lavorare. Un intervento di terapia breve strategica sistemica, quindi, è indicato ogniqualvolta sia possibile concordare uno o più obiettivi su cui lavorare, anche in assenza di un problema chiaramente definito.
La Terapia Breve Strategica Sistemica si occupa da una parte di eliminare i sintomi o i comportamenti disfunzionali per i quali la persona è venuta in terapia, dall’altra, di produrre il cambiamento delle modalità attraverso cui questa costruisce la propria realtà personale e interpersonale. Ovvero, di produrre dei cambiamenti nella percezione della realtà della persona e non solo nelle sue reazioni comportamentali, in modo da spostare il suo punto di osservazione dalla posizione originaria, rigida e disfunzionale, ad una prospettiva più elastica e con maggiori possibilità di scelta. Di conseguenza, la Terapia Breve Strategica Sistemica rappresenta un intervento radicale e duraturo e non certo una terapia puramente sintomatica. Proprio per questo, una volta risolto il problema portato in terapia, non si sviluppano sintomi sostitutivi, come evidenziato nei follow-up a distanza di un anno condotti su numerosissimi casi trattati ad Ancona e presso tutti gli altri centri presenti in Italia e all’estero che adottano il nostro stesso approccio.
Sebbene entrambe si occupino eliminare i sintomi, esistono notevoli differenze fra la Terapia Breve Strategica Sistemica e una Terapia comportamentista classica. In primo luogo l’epistemologia di base: mentre alla base della terapia strategica c’è un’epistemologia avanzata di tipo costruttivista, la terapia comportamentista si basa su una epistemologia che potremmo definire di “realismo monista”. In altri termini, a fronte dell’assunzione che esiste un’unica realtà “vera” e conoscibile, tipica del realismo monista, la prospettiva strategica sostiene che non esiste un’unica realtà vera, ma tante realtà quante se ne possono inventare. Ovvero, ognuno costruisce la realtà, che poi subisce o gestisce. Questa differenza epistemologica ha delle implicazioni notevoli ai fini del trattamento. Difatti, mentre una terapia comportamentista è finalizzata esclusivamente a modificare i comportamenti (ovvero le reazioni) dell’individuo rispetto alle situazioni vissute come problematiche, la terapia strategica è sì orientata all’estinzione dei disturbi presentati ma, parallelamente, anche alla ristrutturazione della percezione che il soggetto ha di sé, degli altri e del mondo. Questo modello terapeutico, quindi, non si limita ad eliminare i sintomi o i comportamenti disfunzionali per i quali la persona è venuta in terapia, ma è finalizzata a produrre il cambiamento delle modalità attraverso cui questa costruisce la propria realtà personale e interpersonale. A questo fine, il terapeuta strategico sistemico si avvale di un linguaggio di tipo ingiuntivo-suggestivo che appare molto differente da quello indicativo-esplicativo utilizzato, invece, in una terapia comportamentale.
Avviene molto spesso, soprattutto nei casi di disturbi impedenti e generalizzati, che la persona giunga in terapia con una terapia farmacologica in corso. Questo accade, ad esempio, per i disturbi d’ansia (ansia generalizzata, attacchi di panico agorafobia e altre fobie), disturbi ossessivi (pensieri paranoici, dubbi ossessivi, compulsioni / rituali, manie ossessive, ossessioni compulsive, compulsioni, ecc…), i disordini alimentari, i disturbi depressivi (depressione bipolare), le presunte psicosi e le dipendenze da sostanze leggere (marijuana, haschish, ecstasy, LSD, alcool, ecc…). In questi casi, sarà importante che la persona eviti di sospendere o variare la propria terapia farmacologica per tutta la prima parte della psicoterapia, ovvero fino a quando non siano stati prodotti sostanziali cambiamenti terapeutici nella sintomatologia presentata. Negli stadi più avanzati della terapia, al contrario, il terapeuta strategico, in collaborazione con lo specialista che ha prescritto la terapia farmacologica, procederà a “scalare” gli psicofarmaci fino ad arrivare ad una loro totale eliminazione. Liberare la persona dalla dipendenza dai farmaci (ansiolitici, antidepressivi, antipsicotici, ecc…) infatti, rappresenta uno degli obiettivi primari della terapia strategica e un aspetto fondamentale per potere dichiarare il trattamento concluso con efficienza ed efficacia.
La Terapia Breve Strategica non presenta alcuna “controindicazione” rispetto alla coesistenza di altri interventi terapeutici, poiché rappresenta una modalità di lavoro originale, che non risente di interferenze rispetto ad altri percorsi psicoterapici. Di conseguenza, la persona che sta seguendo una psicoterapia di altro tipo o una terapia farmacologica può rivolgersi ad un terapeuta strategico sistemico senza dover interrompere il trattamento attualmente in atto.
È una situazione piuttosto frequente quella in cui, piuttosto che un singolo e specifico problema, la persona si ritrova a vivere una situazione problematica molto complessa e sfaccettata, dove problemi di ordine diverso si sommano e si aggravano vicendevolmente. In questi casi, compito del terapeuta strategico è quello di individuare, insieme al cliente, delle priorità di intervento su cui focalizzare le prime mosse del trattamento. Una volta fatto questo, utilizzando la logica del “conoscere cambiando”, il terapeuta guiderà la persona ad affrontare gradualmente tutti gli altri aspetti della situazione problematica, fino a portare al raggiungimento degli obiettivi concordati all’inizio del trattamento.
Da un punto di vista strategico sistemico, portare in consultazione psicologica un bambino è un evento potenzialmente dannoso. Difatti, oltre a dar vita ad un pericoloso processo di “etichettamento diagnostico” a partire fin dai primi anni di vita, l’essere in cura da uno psicologo rischia di far sentire il bambino “anormale”, “cattivo” o, comunque, “diverso”. Questo non può che avere conseguenze negative sul suo sviluppo psicologico. Oltre a ciò, quando si ha a che fare con soggetti in età evolutiva, al di sotto dei 12-13 anni (o comunque prima della pre-adolescenza), la leva più vantaggiosa per produrre un cambiamento appare la famiglia stessa, piuttosto che la figura esterna del terapeuta. In altri termini, la via principale per produrre dei cambiamento rapidi e persistenti in un bambino passa attraverso il lavoro indiretto condotto con i genitori. Grazie a concrete indicazioni di comportamento, i genitori saranno guidati dal terapeuta a modificare determinati atteggiamenti (ovvero le loro “tentate soluzioni”) che porteranno alla risoluzione del problema presentato dal figlio, senza che sia necessario vedere in bambino in seduta nemmeno una volta.
Capita talvolta che una coppia di genitori rilevi nel figlio o nella figlia segnali preoccupanti che inducono a ritenere utile una psicoterapia o, almeno, una consultazione psicologica. Accade però frequentemente che i figli, soprattutto nell’età dell’adolescenza o nella prima età adulta, rifiutino di accettare l’esistenza di un problema e, di conseguenza, di consultare uno specialista. Questo accade spesso nell’ambito delle dipendenze da sostanze (alcool, marjuana, estasy, LSD, ecc…) dei disordini alimentari (anoressia, bulimia e vomiting), in cui la figlia nega di avere alcun tipo di problema con il cibo, ma anche relativamente a problemi di tipo fobico-ossessivo (ansia, compulsioni, fobie, ecc…) relazionale (difficoltà a relazionarsi con i pari, aggressività verso i familiari, ecc…) o depressivo, dipendenza da gioco d’azzardo,gambling, dipendenza da internet, siti porno, chat. Possiamo considerare in questa categoria anche tutti i casi di difficoltà scolastiche o relazionali con i genitori che, sebbene meno allarmanti da un punto di vista diagnostico, sono comunque causa di sofferenza e disagio in famiglia. In tutte queste situazioni, il terapeuta strategico è solito fare un primo incontro con i genitori e valutare con loro se il problema richieda un intervento psicoterapico e, se sì, di quale tipo. Il terapeuta strategico sistemico potrà dare indicazioni concrete ai genitori su come comportarsi relativamente al figlio/a e al disturbo in questione, ricorrendo così ad una forma di terapia indiretta, oppure dare indicazioni e suggerimenti su come cercare di coinvolgere il figlio/a nella terapia. Accade sovente che un intervento inizialmente “indiretto” (ossia condotto solo attraverso i genitori) si trasformi in un secondo momento in un intervento “misto”, ovvero condotto sia sui genitori che sul figlio, il quale appare più disposto ad entrare in terapia sulla scia dei cambiamenti messi in atto dai genitori.
La terapia breve strategica sistemica è un intervento di tipo psicoterapico e, come tale, non prevede l’ausilio di farmaci. Al contrario, qualora il paziente arrivasse con una cura farmacologica in corso, sarà preoccupazione del terapeuta giungere – negli ultimi stadi della terapia – a metterla in grado di interrompere completamente l’utilizzo dei farmaci. Questo avviene, generalmente, in tutti i casi di disturbi d’ansia (ansia generalizzata, attacchi di panico, ossessioni, compulsioni, agorafobia e altre fobie), disordini alimentari o depressione reattiva, che giungono in terapia con una cura farmacologica in corso. In questi casi, il liberare la persona dalla dipendenza dal farmaco rappresenta uno dei compiti principali del terapeuta e un aspetto fondamentale per potere dichiarare la terapia conclusa efficacemente.
Sebbene la Terapia Breve Strategica Sistemica lavori anche con le coppie (ovvero vedendo entrambi i partner in seduta), la maggior parte dei “problemi di coppia” appaiono spesso facilmente affrontabili anche mediante il lavoro condotto con uno solo dei due membri. Da questo punto di vista, una persona che ritenga di vivere una difficoltà di coppia può rivolgersi direttamente ad un terapeuta strategico senza necessariamente dover coinvolgere il partner nella decisione. Sarà poi il terapeuta, esaminando a fondo il tipo di problema e la situazione presentata, a valutare se sarà possibile, o addirittura preferibile, condurre la terapia con uno solo dei due membri, o se sarà invece necessario coinvolgere in qualche modo l’altro partner almeno in qualche fase del trattamento.