Capita talvolta che una coppia di genitori rilevi nel figlio o nella figlia segnali preoccupanti che inducono a ritenere utile una psicoterapia o, almeno, una consultazione psicologica. Accade però frequentemente che i figli, soprattutto nell’età dell’adolescenza o nella prima età adulta, rifiutino di accettare l’esistenza di un problema e, di conseguenza, di consultare uno specialista. Questo accade spesso nell’ambito delle dipendenze da sostanze (alcool, marjuana, estasy, LSD, ecc…) dei disordini alimentari (anoressia, bulimia e vomiting), in cui la figlia nega di avere alcun tipo di problema con il cibo, ma anche relativamente a problemi di tipo fobico-ossessivo (ansia, compulsioni, fobie, ecc…) relazionale (difficoltà a relazionarsi con i pari, aggressività verso i familiari, ecc…) o depressivo, dipendenza da gioco d’azzardo,gambling, dipendenza da internet, siti porno, chat. Possiamo considerare in questa categoria anche tutti i casi di difficoltà scolastiche o relazionali con i genitori che, sebbene meno allarmanti da un punto di vista diagnostico, sono comunque causa di sofferenza e disagio in famiglia. In tutte queste situazioni, il terapeuta strategico è solito fare un primo incontro con i genitori e valutare con loro se il problema richieda un intervento psicoterapico e, se sì, di quale tipo. Il terapeuta strategico sistemico potrà dare indicazioni concrete ai genitori su come comportarsi relativamente al figlio/a e al disturbo in questione, ricorrendo così ad una forma di terapia indiretta, oppure dare indicazioni e suggerimenti su come cercare di coinvolgere il figlio/a nella terapia. Accade sovente che un intervento inizialmente “indiretto” (ossia condotto solo attraverso i genitori) si trasformi in un secondo momento in un intervento “misto”, ovvero condotto sia sui genitori che sul figlio, il quale appare più disposto ad entrare in terapia sulla scia dei cambiamenti messi in atto dai genitori.